venerdì 3 giugno 2016

INTERVISTA ALLA NOSTRA DIRIGENTE, PAOLA DI RENZO (seconda parte)




Cominciamo questa seconda parte dell’intervista alla nostra Dirigente, dott. Paola Di Renzo con una domanda posta da Andrea



Le è  mai capitato di avere delle difficoltà? Come le ha superate?



Certo, nel mio lavoro capita ogni giorno di avere qualche difficoltà, proprio ogni giorno, forse è per questo che amo il mio lavoro, perché non ci si annoia.

Funziona in questo modo: ci sono delle priorità. La mattina arrivo a scuola, sapendo che devo fare prima una certa procedura, poi devo incontrare alcuni genitori e, siccome siete tanti e quindi la complessità è tanta perché componete più di 50 classi, e siete più di 1200 alunni, puntualmente accade qualcosa che mi fa rivedere la scaletta delle priorità per mettere in cima il bisogno di un alunno o di un docente; a volte capitano anche delle emergenze e io devo avere la prontezza di risolverle.

Quindi le difficoltà ci sono ogni giorno e mi può capitare di non avere l’idea pronta al momento, è un caso che devo studiare, è un caso che devo risolvere e questa è una difficoltà che però a me piace superare; lo trovo molto divertente e molto stimolante...

Nella vita di difficoltà ne ho avute tantissime. Vi dirò che ho avuto un’infanzia bellissima con una famiglia molto unita che mi ha dato veramente tanto, però ho avuto la sfortuna di perdere i miei genitori molto presto; ho perso il papà che avevo sedici anni e mio fratello ne aveva dodici, lui aveva trentotto anni quando è morto, a causa di una malattia.

Avevo un papà che per me era mitico, fantastico perché era una persona molto vitale e quindi trascorrevo le mie vacanze con lui; avevamo la roulotte e andavamo in campeggio; era un papà molto dinamico, mi portava a sciare, andavamo a giocare a tennis, un papà molto attivo, quindi per me questa perdita è stata devastante nella mia vita. Poi, chiaramente, ho concentrato tutto il mio affetto su mia madre, che per me è stata veramente un’ancora, una guida, sia per me che per mio fratello e poi, perderla prematuramente, aveva 59 anni, quando io ero diventata da poco mamma per la seconda volta è stato un dramma. Voi ragazze ve ne accorgerete da adulte; adesso vivete l’epoca del contrasto, ma poi quando diventerete madri scoprirete quanto è importante la vostra mamma durante la maternità e avrete un grande avvicinamento alle vostre madri, ed anche per me è stato così. Perderla nel momento in cui ne sentivo maggiormente il bisogno, perché io ero diventata mamma, è stato per me veramente molto pesante e quindi ho dovuto imparare dal punto di vista affettivo a procurarmi ciò che gli altri non potevano darmi più.

Ho imparato anche ad essere genitore di me stessa quando è stato necessario, ho imparato a volermi bene, ho imparato anche che nessun ostacolo nella vita è insuperabile, tutto si può risolvere e soprattutto che non è necessario farsi la guerra perché in fondo la vita è una traccia che noi dobbiamo lasciare nel mondo.

Non vale assolutamente la pena far del male agli altri né vale la pena perdere tempo a litigare con gli altri, noi bobbiamo pensare a costruire noi stessi per bene a fare il meglio possibile che possiamo fare e a volerci bene. Volerci bene non vuol dire essere egoisti nei confronti degli altri, significa ascoltare quelle che sono le nostre esigenze e imparare a conoscerci.


Ognuno di noi ha delle esigenze, noi dobbiamo imparare ogni tanto ad interrogarci e chiederci di che cosa ho bisogno, e dobbiamo essere talmente bravi perché per stare bene dobbiamo essere in grado di autoprodurci ciò di cui abbiamo bisogno.

Questo ci rende anche molto autonomi dal punto di vista mentale, ecco questa è un’altra cosa importante: essere liberi nella vita nella mente, non lasciarci condizionare da niente e da nessuno.




In Italia si sta diffondendo il metodo sperimentale, per questo le vorremmo chiedere se preferisce il metodo tradizionale o quello moderno e perché?



Domanda molto interessante. Innanzi tutto quello che adesso passa per metodo moderno, non è innovativo per niente, nel senso che é sempre esistito e se noi andiamo a rileggere e a studiare la storia della pedagogia, ovvero l’arte di insegnare, se noi andiamo a rileggere la storia del pensiero, legata ai metodi di insegnamento scopriamo che quella che adesso si chiama classe rovesciata è una metodologia che è già presente nel passato, quindi non è stato inventato niente di nuovo, è qualcosa che già esiste e che è stato riscoperto in una chiave moderna e in parte è legata alle tecnologie.

Torniamo a quello che abbiamo detto, torniamo alla radice e cioè che noi dobbiamo cercare di tirare fuori da noi stessi il meglio possibile, il compito del docente è aiutarvi in questo processo, infatti educare deriva dal latino “educere”, tirare fuori.

Allora, noi dobbiamo cercare di tirare fuori da voi il meglio possibile, per fare questo ogni metodo è lecito, e non è detto che ce ne sia uno che è valido per tutti, perché devo cercare di trovare la strada migliore per arrivare ad ognuno di voi. Quindi in assoluto non esiste un metodo migliore degli altri, ma è l’insegnante che grazie alla sua capacità e alla sua professionalità, alla sua creatività, deve essere in grado di capire qual è per questa classe, per ognuno di voi, il metodo migliore da utilizzare.

Quindi io penso che esista un mix di metodi che l’insegnante utilizza.

La classe sperimentale che noi abbiamo, é chiamata cosí perché legata ad una sperimentazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, avviata con il Ministero dell’Università e della Ricerca e con la Samsung che é un colosso informatico che ha fornito le tecnologie per realizzare questo pacchetto, quindi la classe è sperimentale in questo senso. I docenti stanno attuando una sperimentazione che è legata al protocollo di azioni che l’Università Cattolica ha messo in atto. In questa classe sperimentale più metodi vengono messi in atto, anche il metodo tradizionale, cioè l’insegnante spiega e gli alunni ascoltano e questo metodo non è disdegnato, così come non è disdegnato il dettato alla scuola elementare perché ha una sua funzionalità. Quindi sono strategie vecchie, nuove, semivecchie, vecchie rinnovate che coesistono tutte quante insieme per cercare di raggiungere il nostro obiettivo che è quello di tirar fuori il meglio di voi e per farvi raggiungere quello che noi chiamiamo successo formativo. Ognuno di voi deve sperimentare il successo, si deve sentire campione in quello che fa e questo è importante.



Pensa di poter essere un esempio nella scuola?


Questa sarebbe una grande ambizione da parte mia. Forse umanamente come debolezza umana mi piacerebbe essere un modello e comunque penso che chi vive nel mondo della scuola, ambisce  ad essere un modello per voi perché non è soltanto importante ciò che noi vi insegniamo, cioè i contenuti, ma è la relazione stessa che noi, che operiamo nella scuola, riusciamo ad instaurare con voi e con i vostri genitori che è educativa in sè e questo significa che anche il nostro modo di porci, il nostro comportamento, il nostro modo di agire in qualche modo è un modello. Sarebbe veramente sconveniente se io vi dessi degli insegnamenti, dei modi e poi nella mia vita quotidiana, nel mio agire all’interno e all’esterno della scuola non fossi coerente nelle cose che vi dico di fare.

Sono convinta che esista una pedagogia del contesto, quindi del comportamento del docente, ma anche del contesto ambientale, perché mi piace una scuola pulita, una scuola ordinata, una scuola anche allegra, motivante dal punto di vista estetico e sono convinta che è l’ambiente stesso che educa. Se voi state in una strada dove ci sono per terra delle carte o dei mozziconi di sigaretta o dei residui non vi fa specie buttare la carta che avete in mano per terra perché scatta in voi il meccanismo che lo fanno tutti, carta più carta meno cosa vuoi che cambi? Se voi invece vi trovate in un contesto di città perfettamente pulita, in ordine, con un buon decoro urbano, dove magari ci sono i fiori nelle aiuole, siete più portati a rispettare qull’ordine perché vi rendete conto che quell’ambiente vi produce in qualche modo un benessere. Penso che chiunque operi nella scuola debba sentire la responsabilità di essere un modello e un esempio per gli altri, quindi io avverto una grande responsabilità di dover essere per voi un modello. Vi suggerisco di vedere il film “Mona Lisa Smile”.


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