Uno sguardo sul Mondo


La Majella: un parco di montagna affacciato sul mare

Recentemente IL PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA è stato riconosciuto come GEOPARCO MONDIALE DELL ’UNESCO. Il titolo gli è stato conferito in quanto rappresenta un immenso museo di biodiversità animale e vegetale, unito ad una elevata geodiversità del territorio, con ben 95 geositi, di cui almeno 22 di valore internazionale.

 Tale riconoscimento rappresenta un ‘opportunità straordinaria per valorizzare ancor più la nostra regione ABRUZZO.

Istituito nel 1991, il parco si estende per una superficie di quasi 63 mila ettari. Dal punto di vista geologico, la Majella è il massiccio di origine calcarea più singolare dell’Appennino, con la sua forma tondeggiante modellata dai ghiacciai. Un vero spettacolo della natura, habitat naturale perfetto di diverse specie, anche protette, tra cui i lupi, gli orsi, i cervi e i camosci.

 Geograficamente è costituito dai massicci della Maiella, del Morrone, del Porrara e dei Monti Pizzi ognuno con le sue caratteristiche.  Monte Amaro (2793 m) è la seconda vetta abruzzese dopo il Gran Sasso (2912 m). Alle cime si alternano vasti pianori di alta quota e canyon imponenti. Ricco di flora e di fauna, il parco è conosciuto come il Parco dei Lupi e inoltre ospita un nucleo di orsi marsicani con diversi esemplari.

Nel parco è presente la popolazione di camosci appenninici più importante in assoluto: oltre 1.200 capi nel 2018, in aumento. Da ricordare che il camoscio si era estinto in passato, ma è stato reintrodotto nel 1991 prelevando alcuni esemplari dal Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise.

IL CAMOSCIO D’ ABRUZZO 


Il camoscio d'Abruzzo fa parte della sottofamiglia dei Caprini. Si tratta di una sottospecie di camoscio a sé stante: infatti, sono una popolazione ben distinta sia da quella alpina, che da quella pirenaica, alla quale tuttavia è ascritta col rango di sottospecie.

Si differenzia dalle altre specie di camoscio principalmente per le corna, che pur avendo la caratteristica forma ad uncino sono assai più lunghe rispetto a quelle degli altri camosci.

Il camoscio d'Abruzzo durante i mesi estivi presenta colorazione rossiccia con le parti ventrali e la testa che sfumano nel giallastro, mentre durante l'inverno il manto estivo muta per lasciare il posto al vello invernale, più lungo e folto e di colore bruno-nerastro su dorso, coda, ventre e zampe.

I suoi habitat preferiti sono le parti più scoscese e rocciose delle montagne, dove è il re incontrastato e può più facilmente respingere l’attacco di vari predatori. Vive al di sopra dei 1800 m s.l.m. Si differenzia a vista d’occhio dal suo parente alpino. Le differenze maggiormente visibili sono: un corpo più slanciato, snello ed elegante, le corna più lunghe ed uncinate, la colorazione del manto invernale che presenta colori che vanno da marroncino, al rossiccio con bande nere che scendono dal collo. 

Il lupo appenninico è presente con una popolazione (2013) di almeno 50 esemplari stabili, raggruppati in 11 branchi, più numerosi individui isolati ed erratici, per un totale di 70 - 80 lupi.

Nel GEOPARCO  Maiella la storia dell’uomo è intrecciata con la natura selvaggia : numerosi sono gli eremi e antiche testimonianze di villaggi Neolitici.


L’ EREMO DI SAN BARTOLOMEO

L'eremo di San Bartolomeo è anteriore all' XI secolo e venne restaurato da Pietro da Morrone.

Qui vi si stabilì intorno al 1274 per almeno due anni, al ritorno del suo viaggio a Lione fatto per ottenere dal papa Gregorio X il riconoscimento della sua Congregazione dei Celestini.

Presenta una colorazione molto simile alle rocce che le incastonano. La chiesa e due piccoli vani destinati agli eremiti si elevano sulla balconata rocciosa cui si accede tramite quattro scalinate: una a nord, composta da 30 gradini irregolari ricavati nella roccia, una a sud, ricavata sempre nella roccia, ma più lunga ed irregolare, ed infine due al centro della balconata, una delle quali svolgeva funzioni di Scala Santa.  La chiesa presenta in facciata tracce di un affresco raffigurante, nella parte bassa, un ostensorio e, nella parte alta, due riquadri con Cristo e una Madonna con Bambino. L'interno è illuminato da una porta-finestra. Lungo la parete sinistra è presente una sorgente d'acqua, che scorre fuori della chiesa perdendosi nella roccia. Quest’acqua, ritenuta santa, una volta mescolata con l'acqua della sorgente sottostante l'eremo viene raccolta nell'acquasantiera. 

La flora del Parco Nazionale della Maiella si caratterizza per la sua notevole ricchezza.  Le entità (specie e sottospecie) censite ammontano ad oltre 2100, corrispondenti a oltre il 65% della flora abruzzese, quasi il 30% di quella italiana e circa il 17% di quella europea. Oltre ad essere molto ricca, la flora del Parco è considerevole anche per la sua originalità. Il numero degli endemismi ammonta a 142 e, tra questi, 5 sono esclusivi del territorio dell'area protetta: la Soldanella del Calcare ed il Fiordaliso della Maiella, scelti come simbolo dei giardini botanici del Parco.

LA BELLADONNA

La Belladonna è una pianta a fiore (Angiosperme dicotiledoni) della famiglia delle Solanaceae.

Il nome deriva dai suoi letali effetti e dall'impiego cosmetico. Atropo era infatti il nome (in greco: τροπος, cioè in nessun modo, l'immutabile, l'inevitabile) di una delle tre Moire che, nella mitologia greca, taglia il filo della vita, ciò a ricordare che l'ingestione delle bacche di questa pianta causa la morte.

L'epiteto specifico belladonna fa riferimento ad una pratica che risale al Rinascimento: le dame usavano un collirio basato su questa pianta per dare risalto e lucentezza agli occhi a causa della sua capacità di dilatare la pupilla, un effetto detto midriasi dovuto all'atropina, che agisce direttamente sul sistema nervoso parasimpatico.

La Belladonna cresce sporadica nelle zone montane e submontane fino ad una altitudine di 1400 metri. Predilige i suoli calcarei e i margini di boschi freschi e ombrosi, come le faggete. In Italia si può incontrare nei boschi delle Alpi e Appennini.  

                       Gli alunni della 1ªC                                                                           


Perché l’Australia "brucia"?

Come tutti sappiamo l'Australia si trova nell'emisfero opposto al nostro, l’Emisfero Australe e quindi, se da noi è inverno, nella terra dei canguri è appena cominciata la calda, anzi la caldissima, estate.
Il periodo caratterizzato da temperature elevate e scarse precipitazioni, ben si presta a innalzare ancora di più le medie stagionali e creare situazioni favorevoli all'innesco di incendi, ma quest'anno la situazione appare ancora più critica, poiché da qualche tempo è entrato in gioco un altro elemento: il cambiamento climatico!
Il surriscaldamento globale ha infatti "regalato" all'Australia un'estate particolarmente torrida e afosa, con la colonna di mercurio che spesso si è stabilizzata oltre i 40°C. A ciò poi si sono aggiunti altri due fattori: da un lato la direzione dei venti antartici che ha alimentato gli incendi dall'altra il tardivo arrivo della stagione dei Monsoni, cioè dei venti umidi oceanici che portano le precipitazioni piovose, lasciando dunque il territorio australiano particolarmente secco e arido.
La situazione dunque era fin troppo favorevole allo scoppio di incendi diffusi infatti fin da settembre il territorio australiano ha iniziato a vedere l’innescarsi di centinaia e centinaia di roghi che proprio nelle scorse settimane hanno raggiunto il picco massimo di vivacità.
Le nubi provocate dalle fiamme avevano raggiunto perfino la Nuova Zelanda, sporcando di rosso e marrone il cielo e le montagne innevate.


L’origine della fine
Tutto è cominciato nel 2014 quando il governo australiano ha approvato il progetto della compagnia indiana Adani di investire in Australia per l’estrazione del carbone. Questa scelta ha portato la cittadina di Carmichael a diventare una delle maggiori miniere australiane ed uno dei più importanti giacimenti di carbone al mondo.
Il territorio ospiterà un pozzo di petrolio che distruggerà la colorata barriera corallina australiana.
Nel 2018 il primo ministro australiano Malcolm Turnbull aveva rinunciato al piano per la riduzione delle emissioni spingendo il paese nelle mani delle multinazionali del petrolio.
Tuttavia, gli incendi boschivi degli scorsi giorni sono stati molto dolorosi e hanno accesso l’attenzione di tutti sulle scelte fatte.
Probabilmente, tra i motivi principali della distruzione delle foreste vi è stata quasi sempre la richiesta di nuove aree coltivabili e per costruire nuove aziende e fabbriche, come già avvenuto in Amazzonia.

Come dovrebbe reagire l’Australia???
Le foreste svolgono un ruolo importante per l’ecosistema perché regolano la quantità di acqua presente sul pianeta quindi si creerà uno squilibrio tra periodi di siccità e di umidità.
La quantità di ossigeno sulla Terra sarà sempre meno, e anche sempre più irrespirabile, a tal punto che tra meno di 40 anni, di questo passo, potremmo essere destinati all'estinzione.
I cittadini australiani devono spingere il cambiamento, salvare gli animali e piantare nuovi alberi laddove sono andati bruciati.
Nel frattempo il mondo intero ha finalmente cominciato ad interessarsi al problema.
La classe 1ªC
a.s. 2019/2020

1 commento: